In ordine all’attuazione pratica dell’accesso FOIA (e non solo), in data 11 novembre 2016, sul sito dell’ANAC è stata aperta la consultazione pubblica sullo schema di Linee guida elaborato dall’Autorità in attuazione di quanto previsto dall’art. 5-bis, co. 6 del d.lgs. 33/2013, introdotto dal d.lgs. 97/2016.
Si tratta, in buona sostanza, di indicazioni pratiche rivolte alla P.A. (e non solo, dato che sono destinatari delle norme anche gli enti pubblici economici gli ordini professionali, le società in controllo pubblico, società in partecipazione pubblica e altri enti di diritto privato assimilati ecc.) volte a definire le esclusioni e i limiti previsti dalla legge all’accesso, da parte di chiunque, a dati, documenti ed informazioni detenuti dalle amministrazioni ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria (cd. accesso civico generalizzato).
Il documento resterà in consultazione sino al 28 novembre 2016 e sarà possibile partecipare inviando le proprie osservazioni attraverso il modulo disponibile nella pagina dedicata.
Da una prima lettura delle linee guida si coglie il tentativo pregevole, da parte dell’Autorità, di dare una lettura dell’accesso il più ampia possibile, cercando al contempo di scongiurare la cruciale sovrapposizione con l’accesso ex l. 241/90 (opportunamente definito “documentale”).
Se infatti le fattispecie fossero coincidenti, la portata dell’accesso ispirato al “FOIA” sarebbe pressoché nulla, e residuerebbe solo la possibilità di accedere ai documenti “oggetto di obblighi di pubblicazione”.
Il FOIA
Il percorso che ha portato a ribaltare la disciplina della conoscenza generalizzata dei documenti (ma anche dei dati e delle informazioni detenuti dalla PA) è stato lungo e travagliato nel nostro Paese e non è questa la sede per ripercorrerlo, basti qui ricordare come all’esito di un tormentato iter legislativo si è approdati alla formulazione dell’attuale art 5 D. Lgs 33/2013, il quale al comma 1 regola l’accesso “civico”, che pur non essendo soggetto a requisiti particolari (non prevede particolari qualifiche del richiedente, non prevede la sussistenza di un particolare interesse concreto e attuale alla conoscenza, non prevede che l’istanza sia motivata) è circoscritto ai soli atti, documenti e informazioni che siano “oggetto di obblighi di pubblicazione”.
Al secondo comma, invece, si delinea il portato del FOIA, quello che viene definito “accesso civico generalizzato”: anche per questo tipo di accesso non si prevede alcun requisito soggettivo particolare o obbligo di motivazione dell’istanza, ed è diretto anche verso gli atti sottratti al regime di pubblicità. L’ampiezza dell’accesso così delineato è controbilanciata da un puntuale regime di eccezioni che individuano i settori ad esso sottratti.
Si anticipa già che quello inerente il regime delle eccezioni è proprio l’ambito nel quale le linee guida dovrebbero essere maggiormente incidenti, per evitare che dalla combinazione di valutazione discrezionale delle amministrazioni -da un lato- e ampiezza della formulazione -dall’altro- risulti un quadro disorganico e disomogeneo, idoneo persino a vanificare del tutto la portata del diritto di accesso civico generalizzato che pure, con condivisibile sforzo ermeneutico, l’ANAC mostra di voler affermare ed estendere.
Infine vi è l’accesso documentale (accesso ex l. 241/90) già noto nel nostro ordinamento e volto a consentire l’accesso solo a soggetti legittimati, ossia portatori di interessi rilevanti, con istanze motivate e all’esito del bilanciamento degli interessi operato dall’amministrazione, e che con l’accesso civico generalizzato (FOIA) condivide parte del regime di eccezione.
Proprio su questa potenziale sovrapposizione si sono appuntate buona parte delle critiche alla normativa, ritenendosi che l’accesso documentale (ex 241/90) doveva ritenersi superato ed essere espunto dall’ordinamento, per non rischiare che le istanze di accesso generalizzato (FOIA) vi si sovrapponessero (operando le stesse eccezioni) e fossero riassorbite più o meno direttamente dal primo, in modo da lasciare liberamente accessibili (accessibili cioè da chiunque, senza un interesse qualificato e senza dar conto della motivazione) solo gli atti i documenti e le informazioni sottoposte a regime di pubblicità.
In altre parole e in estrema sintesi possiamo così schematizzare gli accessi oggetto delle linee guida:
- accesso civico (semplice): disciplinato dal comma 1 dell’art. 5 D. Lgs 33/2013, prevede la possibilità per chiunque di accedere ai documenti oggetto di pubblicazione (non serve un interesse rilevante, non serve la motivazione);
- accesso civico generalizzato (FOIA): disciplinato dal comma 2 dell’art. 5 D. Lgs 33/2013, salvo eccezioni, prevede la possibilità per chiunque di accedere ai dati ai documenti e alle informazioni detenuti dalle PA (e non solo, come abbiamo detto prima) – al di là di quelli in regime di pubblicità- senza essere titolare di una particolare situazione giuridica, portatore di un interesse rilevante e senza motivazione. È un accesso volto a consentire un controllo diffuso e generalizzato sull’operato dell’amministrazione;
- accesso documentale: è disciplinato dalla legge 241/1990, per poter essere utilmente esercitato richiede che il richiedente sia titolare di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata a un documento al quale è richiesto l’accesso; è volto a escludere un controllo diffuso e generalizzato sull’operato dell’amministrazione.
È evidente che le linee guida non possono estendere la portata dei diritti d’accesso oltre l’ambito normativamente perimetro dal legislatore. È anche vero, però, che queste tipologie non esauriscono i diritti d’accesso riconosciuti nel nostro ordinamento e forse, come si dirà nel prosieguo, sarebbe opportuno atteggiare le linee guida in modo che, all’applicazione pratica, chi si trova a gestire più tipologie di accesso possa farlo in maniera organica, non frammentaria e parcellizzata, invitando le amministrazioni a considerare regolamenti omnicomprensivi che possano agevolare l’esercizio dei diritti da parte dei cittadini, veri destinatari della novella normativa.
Tanto premesso, si tenterà un’analisi delle linee guida provando a seguire il più possibile l’impianto proposto dall’ANAC.
Accesso civico generalizzato: caratteristiche e funzioni
L’ANAC specifica correttamente, ad avviso di chi scrive, la portata e le dinamiche di interazione tra le norme. La distinzione operata appare idonea a valorizzare il campo applicativo del diritto d’accesso civico generalizzato (FOIA), in modo da superare le possibili interferenze con il diritto d’accesso documentale, almeno in linea teorica.
Dal punto di vista dell’applicazione pratica, tuttavia, come detto sopra, non sono questi gli unici diritti d’accesso riconosciuti.
Da una parte c’è il diritto di accesso in materia ambientale (“chiunque, senza essere tenuto a dimostrare la sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante, può accedere alle informazioni relative allo stato dell’ambiente e del paesaggio nel territorio nazionale”) dall’altra, per gli Enti Locali l’accesso previsto dall’art. 10 TUEL (“Tutti gli atti dell’amministrazione comunale e provinciale sono pubblici, ad eccezione di quelli riservati per espressa indicazione di legge o per effetto di una temporanea e motivata dichiarazione del sindaco o del presidente della provincia che ne vieti l’esibizione, conformemente a quanto previsto dal regolamento, in quanto la loro diffusione possa pregiudicare il diritto alla riservatezza delle persone, dei gruppi o delle imprese”).
In particolare questa seconda normativa ha generato non pochi problemi pratici, dato che è stata variamente interpretata in ordine all’onere di motivazione e al suo rapporto con la legge 241/90 e all’accesso ivi previsto. Accanto alla dottrina, che vi ha colto un accesso ampio e collegato al solo status di cittadino, si è attestata una giurisprudenza quanto mai variegata che ha considerato il diritto in commento ora completamente rientrante nella configurazione delineata dalla l. 241/90 (Cons. Stato Sez. V, 29/11/2004, n. 7773), ora contenente una deroga al solo articolo 24 (cioè ai casi di esclusione del diritto all’accesso) e non all’articolo 25 della legge 241/90, ritenendo pertanto necessario presentare istanze motivate (Cons. Stato Sez. V, 24/03/2011, n. 1772), ora libero -“Ai sensi dell’art. 10, comma 2, d.lgs. n. 267/2000 (T.U. Enti locali), il normale cittadino può ben accedere agli atti amministrativi dell’ente locale di appartenenza, senza alcun condizionamento e senza necessità della previa indicazione delle ragioni della richiesta, dovendosi cautelare la sola segretezza degli atti la cui esibizione è vietata dalla legge o da esigenze di tutela della riservatezza dei terzi.” (T.A.R. Campania Salerno Sez. II, 15/02/2012, n. 213)-. L’effetto si riflette nei Regolamenti degli Enti Locali, volti a privilegiare ora l’una ora l’altra modalità, in maniera del tutto priva di coordinazione e frustrante, per le aspettative dei cittadini. Dato che gli Enti Locali non rappresentano un’entità secondaria rispetto alle istanze di accesso, in ragione della loro prossimità ai cittadini, sarebbe forse opportuna un’analisi, seppure settoriale, dedicata specificamente anche a tali interazioni.
Per contro appare centrata la definizione dell’oggetto delle istanze di accesso civico generalizzato, che superando la lettera del comma 2 dell’articolo 5 D. Lgs 33/2013, considera accessibili (attraverso il FOIA), anche le istanze volte a conoscere le “informazioni” in possesso dell’amministrazione attraverso una lettura coordinata dei vari commi. Ciò appare utile al fine di uniformare le interpretazioni sul punto offerte dai vari enti e di indubbio rilievo pratico.
Prime indicazioni operative generali per l’attuazione
Tra le indicazioni operative si segnala l’opportunità che le amministrazioni e gli altri soggetti privati procedano alla stesura di un regolamento sull’accesso volto a disciplinare in maniera organica e coordinata le tre tipologie di accesso (accesso civico semplice, accesso civico generalizzato -FOIA- e accesso documentale).
Anche qui, mi pare opportuno segnalare che per gli Enti Locali si ripropone il problema del coordinamento con l’art. 10 del TUEL. Infatti anche tale articolo impone la stesura di un regolamento (comma 2 dell’art. citato) “Il regolamento assicura ai cittadini, singoli e associati, il diritto di accesso agli atti amministrativi e disciplina il rilascio di copie di atti previo pagamento dei soli costi; individua, con norme di organizzazione degli uffici e dei servizi, i responsabili dei procedimenti; detta le norme necessarie per assicurare ai cittadini l’informazione sullo stato degli atti e delle procedure e sull’ordine di esame di domande, progetti e provvedimenti che comunque li riguardino; assicura il diritto dei cittadini di accedere, in generale, alle informazioni di cui è in possesso l’amministrazione”.
Anche qui, in considerazione dell’importanza degli Enti Locali rispetto alla normativa in commento, anche in ragione della loro prossimità ai cittadini, sarebbe bene -ad avviso di chi scrive, per agevolare la percezione da parte di questi ultimi dell’ampiezza e delle modulazioni dei diritti di cui dispongono, che i regolamenti trovassero un corpo unico, e che le linee guida dedicassero alcune sezioni peculiari a questi settori.
Non solo: anche l’attività di videosorveglianza è accompagnata da regolamenti, che spesso contengono norme sull’accesso. Al di là degli accessi giustificati sulla scorta dell’articolo 7 del Codice Privacy, sarebbe bene che anche questa tipologia fosse integrata nelle indicazioni per la predisposizione dei regolamenti offerte dalle linee guida, come meglio si dirà nel prosieguo, in ragione della sua capillare diffusione.
In ordine ai costi delle istanze, per quanto contenuti, sarebbe bene informare chiaramente i cittadini (come suggerito anche dall’articolo 10 TUEL), in modo che possa valutare serenamente il peso economico della conseguenza delle proprie istanze, anche in ragione delle diverse modalità in cui i dati i documenti o le informazioni possono essere rese (es. supporto cartaceo o informatico), inserendo anche questi aspetti nel Regolamento.
Un’ulteriore annotazione riguarda il linguaggio da utilizzare: questo aspetto andrebbe affrontato nelle linee guida in modo da invitare le amministrazioni a fare attenzione qualora riproducano parti di atti o regolamenti già nella loro disponibilità. Questa normativa si colloca al crocevia linguistico più critico avendo il legislatore condiviso gli stessi termini tra la Pubblica amministrazione da una parte e l’Autorità amministrativa indipendente dall’altra (Garante Privacy) ma attribuendo agli stessi significati diversi. Nel linguaggio amministrativo un soggetto portatore di interesse si individua tradizionalmente come “interessato”, mentre nel Codice della privacy “interessato” è il soggetto a cui si riferiscono i dati personali. Questa ambivalenza del termine si rileva particolarmente critica in questa materia, ove da un lato occorre coordinare le normative (accesso e privacy), dall’altro le normative da coordinare fanno ricorso a istituti che comportano continue sovrapposizioni linguistiche: si pensi all’accesso ex art. 7 del Codice della Privacy, diritto riconosciuto all’”interessato” inteso nel senso attribuito dalla privacy, che resta del tutto estraneo rispetto al FOIA. Tutto ciò, ove ripetuto e riproposto, rischia di creare testi regolamentari che rimbalzando tra un istituto e l’altro risultano poco fruibili dai comuni cittadini. Sarebbe bene pertanto chiamare chi eserciti l’accesso “richiedente” e non “interessato” e lasciare che il termine “interessato” ricorra solo ove vi è coordinamento con la normativa privacy, nel senso fatto proprio dal D. Lgs. 196/03.
(si veda ad esempio nell’allegato, la domanda “Con quale modalità può essere presentata l’istanza di accesso civico?” ove nella risposta si fa riferimento alla sottoscrizione dell’”interessato” – richiedente).
Infine in ordine agli adeguamenti organizzativi suggeriti ci si domanda se il suggerimento volto all’istituzione di appositi uffici in cui “concentrare” le competenze per decidere sulle istanze di accesso debba trovare applicazione anche per i soggetti privati destinatari delle istanze, e, nel caso se anche a costoro si applichino le norme relative alla cooperazione, segnatamente in riferimento all’obbligo di collaborazione fra amministrazioni ex art 5 l. 249/68 e s.m.i., qualora un’istanza pervenga a un ufficio diverso da quello competente.
Ambito oggettivo di applicazione dell’accesso generalizzato
Sotto il profilo soggettivo si pone il problema di applicare ad alcune categorie di destinatari della normativa sull’accesso civico (enti pubblici economici, ordini professionali, società in controllo pubblico ed altri enti di diritto privato assimilati, società in partecipazione pubblica ed altri enti di diritto privato assimilati) le norme sull’accesso in quanto compatibili.
A parere dell’ANAC le norme pongono problemi di compatibilità solo in ragione degli obblighi di pubblicazione, ma non in ordine dell’accesso civico generalizzato (FOIA) che è sempre compatibile.
Per L’ANAC “l’intento del legislatore è quello di garantire che la cura concreta di interessi della collettività, anche ove affidati a soggetti esterni all’apparato amministrativo vero e proprio, rispondano comunque a principi di imparzialità, del buon andamento e della trasparenza.Si ritiene che nel novero di tali attività possano rientrare quelle qualificate come tali da una norma di legge, dagli atti costitutivi o dagli statuti delle società, l’esercizio di funzioni amministrative, la gestione di servizi pubblici nonché le attività che pur non costituendo diretta esplicazione della funzione o del servizio pubblico svolti sono ad esse strumentali. Al riguardo si rinvia alle precisazioni che saranno contenute nelle Linee guida di adeguamento al d.lgs. 97/2016 della delibera ANAC 8/2015 in corso di adozione”.
Ad avviso di chi scrive il criterio adottato necessiterebbe di talune esemplificazioni, dato che dal punto di vista pratico non sempre è semplice distinguere i piani.
Prendiamo di nuovo l’esempio della videosorveglianza (insisto su questo aspetto perché ha amplissima diffusione ed è stato, per la mia esperienza, frequentemente oggetto di istanze di accesso, più o meno fondate): un soggetto che gestisce un servizio pubblico decide di installare un sistema di videosorveglianza a corredo del servizio gestito. L’impianto può essere installato per svariate ragioni, si va da esigenze organizzative e produttive a esigenze di tutela del patrimonio. Ai fini dell’accesso potremo considerare queste attività “strumentale” al servizio pubblico gestito? Oppure dovremmo considerare la strumentalità in ragione della finalità che persegue (ad esempio se volta a garantire la sicurezza)? O, invece, non dovremmo mai poter considerare questa attività come strumentale ai fini del FOIA?
Distinzione tra eccezioni assolute all’accesso generalizzato e “limiti” (eccezioni relative o qualificate)
Come anticipato sopra uno dei temi più delicati è la gestione delle eccezioni al FOIA.
Infatti gli ambiti di esclusione sono molteplici e l’ANAC individua due categorie principali: la prima racchiude le eccezioni assolute, ovvero quelle che impediscono l’ostensione dei dati in ragione di una norma di legge che tutela un interesse per il quale la disclosure sarebbe pregiudizievole (es. segreto di Stato).
La seconda categoria è rappresentata, invece, dai “limiti” o “eccezioni relative o qualificate”: in questo caso la valutazione deve essere operata caso per caso dall’amministrazione, che dovrà ponderare se l’ostensione dei dati (o dei documenti o delle informazioni) arrechi pregiudizio agli interessi indicati dal legislatore.
L’ANAC si preoccupa di indicare anche il contenuto della motivazione del diniego all’accesso, ma il paragrafo a ciò dedicato rischia di essere troppo stringato e meriterebbe una maggiore attenzione. Se è vero che in alcuni casi potrebbe essere pregiudizievole dell’interesse coinvolto imporre all’amministrazione anche solo di confermare o negare di essere in possesso dei dati o delle informazioni è anche vero che, per dirla con il Consiglio di Stato, occorre evitare che l’amministrazione possa “utilizzare la propria discrezionalità nella maniera più ampia, al fine di estendere gli ambiti non aperti alla trasparenza”; l’ampiezza delle eccezioni previste dall’art. 5-bis dovrebbe indurre l’amministrazione a dare conto in maniera puntuale del bilanciamento operato per pervenire al diniego, e solo in casi rarissimi condurre a una motivazione succinta: casi che sarebbe bene individuare almeno in via esemplificativa in modo da uniformare la prassi.
Le eccezioni assolute – Altri casi di segreto o di divieto di divulgazione – Esemplificazione di casi di segreto e di divieti di divulgazione
È senz’altro pregevole l’esemplificazione operata nelle linee guida in ordine alle ipotesi di eccezioni assolute. Tuttavia a parere di chi scrive andrebbero inserite anche le procedure di whistelblowing nella casistica predisposta. Infatti a norma dell’articolo 54-bis D. Lgs. 165/2001 s.m.i., le segnalazioni sono sottratte all’accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni. Considerando la centralità di tale strumento di contrasto della corruzione, l’importanza della tutela dell’identità del whistleblower (riconosciuta e valorizzata anche dall’ANAC nella Determinazione n. 6 del 28 aprile 2015 “Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (c.d. whistleblower)” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale serie generale n. 110 del 14 maggio 2015) e l’effetto dissuasivo che il timore della rivelazione dell’identità potrebbe avere sul segnalante, chi scrive ritiene che allo scopo di evitare interpretazioni fuorvianti e dannose l’esclusione andrebbe ribadita in toto anche nell’accesso civico generalizzato. Se infatti il nominativo del segnalante e del segnalato potrebbero essere espunti in ragione della protezione accordata dalla normativa sulla protezione dei dati, le altre informazioni eventualmente accessibili, e le circostanze che riferiscono, potrebbero comunque lasciar trapelare o far indovinare l’identità del segnalato o del segnalante, mettendo a repentaglio il funzionamento, già fragile, dell’istituto.
I limiti (esclusioni relative o qualificate) al diritto di accesso generalizzato derivanti dalla tutela di interessi privati – libertà e segretezza della corrispondenza
A parere della scrivente questa è una delle parti che necessiterebbero di maggiore integrazione.
Infatti da una parte l’ANAC muove da presupposti più che condivisibili, osservando come tale limite tratti di una “esclusione diretta a garantire la libertà costituzionalmente tutelata dall’art. 15 Cost. che prevede espressamente come «La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge». Tale tutela – che si estende non solo alle persone fisiche, ma anche alle persone giuridiche, enti, associazioni, comitati ecc. – copre le comunicazioni che hanno carattere confidenziale o si riferiscono alla intimità della vita privata (…)”.
Per poi osservare come la nozione di corrispondenza vada intesa in senso estensivo a prescindere dal mezzo di trasmissione utilizzato, stante la diffusione delle nuove tecnologie della comunicazione.
Tuttavia giunge a soluzioni parziali, per le ragioni che si diranno nel prosieguo.
L’ANAC, infatti, conclude che non si dovrà necessariamente escludere l’accesso a tutte queste comunicazioni ma soltanto a quelle che, secondo una verifica da operare caso per caso, abbiano effettivamente un carattere confidenziale e privato.
Tali caratteristiche, ad esempio, possono essere rinvenute nel caso in cui venga utilizzato l’indirizzo di posta elettronica individuale fornito al personale dall’ente presso il quale svolge la propria attività lavorativa, allorquando l’individualità dell’indirizzo e-mail attribuito al lavoratore e la sua veste esteriore, o altre circostanze del caso, possano essere ritenute tali da determinare una legittima aspettativa di confidenzialità – del mittente, del destinatario o di terzi – rispetto a talune forme di comunicazione (estranee o meno all’attività lavorativa).
Il blando richiamo operato alle linee guida del Garante Privacy per posta elettronica e internet del 01.03.2007, nonché i provvedimenti del 2 aprile 2008 e del 21 gennaio 2010, evidentemente non è sufficiente a farne cogliere la portata.
Innanzi tutto pare lecito domandarsi come si potrebbe procedere a un controllo caso per caso senza violare la supposta riservatezza della corrispondenza, chi dovrebbe procedervi e come.
Inoltre gli indirizzi di posta “individuale” cioè recanti il nome del dipendente su dominio aziendale sono prassi molto comune nelle aziende private e potrebbero esserlo anche tra i destinatari delle disposizioni in commento.
Il mero criterio nominale (peraltro utilizzato recentemente dalla giurisprudenza al fine di individuare la violazione del domicilio informatico, non della riservatezza della corrispondenza cfr. Cass. Pen. sez. V, 31 marzo 2016, n.13057) non è sufficiente a determinare la riservatezza della corrispondenza: la presenza di policy sulla gestione delle password o l’esistenza del disciplinare raccomandato proprio nelle linee guida del Garante del 2007, rappresentano un criterio che è stato utilizzato dalla Cassazione per escludere il carattere della riservatezza dell’email aziendale e il reato di violazione della corrispondenza in capo al datore di lavoro. Un simile criterio, certamente più oggettivo del “caso per caso” non si vede perché non dovrebbe essere introdotto anche in queste ipotesi, uniformando le fattispecie in favore dell’integrazione (e riduzione) degli adempimenti.
Non è questa tuttavia l’unica lacuna: la tecnologia ha rivoluzionato non solo le comunicazioni ma anche i supporti e non è infrequente è che i lavoratori usino addirittura i propri strumenti personali per inviare comunicazioni lavorative. Anche il BYOD può essere regolato con apposite policy e anche in questi casi si possono predeterminare aree destinate alle comunicazioni private e aree dedicate a quelle lavorative, come avviene per la strumentazione aziendale. Inoltre l’applicazione della normativa privacy impone che il titolare mantenga il controllo dei dati personali e ne garantisca la sicurezza: ciò comporta anche che i dati vadano debitamente conservati e cancellati se non necessari. La persistente commistione tra comunicazioni lavorative e private non pare rispecchiare la normale organizzazione dei trattamenti, e dovrebbe essere considerata l’eccezione, non la regola. Non perché non debba essere consentito l’utilizzo della casella di posta per fini privati, ma perché le comunicazioni lavorative dovranno essere archiviate, sottoposte a periodico backup, o cancellate quando non è giustificata la conservazione, insomma organizzate in modo che il Titolare non ne perda il controllo. Per non parlare delle procedure di archiviazione elettronica, che dovrebbero costituire una normali prassi. Per contro la corrispondenza privata, con una oculata gestione documentale, non dovrebbe poter finire negli archivi dell’amministrazione.
Attraverso l’uso di disciplinari rispettosi delle indicazioni del Garante Privacy e con una gestione razionale delle procedure di archiviazione le possibilità di violare la corrispondenza privata si riducono drasticamente, e tali policy potrebbero anche comprendere ipotesi eccezionali in cui il lavoratore si trovasse a utilizzare la propria casella di posta elettronica per finalità lavorative, definendo le modalità di salvataggio sicuro e di segnalazione dell’anomalia da parte del lavoratore stesso.
I limiti (esclusioni relative o qualificate) al diritto di accesso generalizzato derivanti dalla tutela di interessi privati – Interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi proprietà intellettuale, diritto d’autore e segreti commerciali
La preclusione derivante dalla tutela della proprietà industriale e intellettuale potrebbe essere potenzialmente in grado di precludere l’accesso a tutta la contrattualistica (si potrebbe persino sostenere che la forma contrattuale sia coperta dal diritto d’autore di chi l’ha redatta).
Se da un lato la tutela offerta dal diritto d’autore non viene meno per effetto della disclosure, dall’altro è ovvio che il FOIA non deve essere utilizzato per aggirare le norme sul diritto d’autore (es. raccolte di giurisprudenza, formulari ecc.).
Si tratta di uno degli aspetti più delicati dell’intero impianto e dovrebbe essere limitato il più possibile: si auspica che i confini della tutela vengano maggiormente definiti, e non resti una mera elencazione delle fattispecie, come nella formulazione attuale, suscettibile di qualsiasi tipo di interpretazione.
Modalità per esercitare il diritto di accesso civico
L’istanza di accesso nelle linee guida viene ricondotta all’articolo 65 del CAD.
Non pare residuare spazio per istanze informali. Tuttavia non tutti i cittadini hanno la pec o la firma digitale, ben più diffusa è la mera casella email. È lecito chiedersi se, almeno per l’accesso civico semplice che ha ad oggetto atti in regime di pubblicità, non possa considerarsi l’opportunità di configurare un accesso informale, attraverso la mera posta elettronica, o se davvero l’accesso informale contrasti con l’intero impianto del CAD complessivamente richiamato dalle norme.
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