Il dropshipping è una forma di commercio che, nella pratica, si distingue per il fatto che il venditore non dispone di un magazzino proprio, pertanto alla custodia e spedizione dei beni provvede un soggetto terzo. Questo assetto ha incontrato particolare fortuna nell’e-commerce ed è un effetto che può essere ottenuto in diversi modi: il venditore, infatti, può comprare i beni e lasciarli nel magazzino del proprio fornitore, delegando a questi anche la spedizione ai clienti che effettuino l’acquisto attraverso il sito web del venditore stesso. Oppure può vendere beni che appartengono al terzo, per suo conto, sul web: anche in questo caso spetterà al terzo l’onere di spedire i beni al cliente finale, che ha operato l’acquisto sul sito. Infine, il venditore può acquistare i beni man mano che i clienti li comprino sul sito, limitando l’acquisto solo ai beni effettivamente venduti, lasciandoli però materialmente nel magazzino del fornitore e lasciando, sempre al fornitore, l’onere di procedere alle spedizioni ai clienti finali. Questi assetti che si incontrano nella pratica, come si vede, non sempre ricalcano schemi contrattuali tipici; inoltre non è sempre facile inquadrare l’attività dal punto di vista amministrativo, soprattutto in ordine alla distinzione tra attività commerciale e attività di intermediazione, e la cose possono complicarsi quando le vendite coinvolgano fornitori che hanno sede all’estero, ipotesi che per semplicità lasceremo del tutto fuori dalla presente disamina.
E’ evidente che sarà molto importante avere le idee ben chiare su cosa si vuole fare e come si vuole ottenere l’effetto desiderato in modo che l’architettura contrattuale sia coerente con l’assetto effettivamente voluto e posto in essere tra chi procede alla vendita sul web e chi gestisce le scorte e le spedizioni. Sarà molto importante che siano disciplinati nel contratto gli aspetti relativi alla gestione del magazzino, che si riflettono sulla disponibilità dei prodotti dichiarata sul web, nonchè modalità e tempistiche di spedizione.
Dropshipping e oneri informativi
Il rapporto, però, non si esaurisce tra chi effettua la vendita sul web e il proprio fornitore: questi aspetti sono molto importanti e costituiscono il “backstage” dell’offerta operata dal venditore attraverso il sito di e-commerce, ma ci sono molti oneri, anche informativi, che riguardano il rapporto tra il venditore e sui clienti, soprattutto quando egli si rivolga a consumatori.
Questi oneri sono particolarmente gravosi nel dropshipping: alcune delle informazioni che il venditore deve dare, infatti, se il rapporto a monte non è ben regolato o non funziona anche sotto il solo profilo tecnico, potrebbero essere inveritiere: ad esempio si può erroneamente dichiarare che alcuni beni sono disponibili e in pronta consegna, quando invece non sono più in magazzino o non è possibile procedere alla consegna nei tempi dichiarati.
Utili indicazioni per assolvere compiutamente questi oneri informativi pervengono dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, la quale, nel corso del 2015 ha esaminato proprio la correttezza delle pratiche commerciali connesse al dropshipping nel commercio elettronico emanando una rosa di provvedimenti sanzionatori.
In particolare sono due gli aspetti sui quali l’AGCM si sofferma: da una parte si concentra sulle informazioni relative alla disponibilità dei prodotti e ai tempi di consegna date al consumatore al momento dell’acquisto, dall’altra sull’aver posto eventuali ostacoli all’esercizio di diritti contrattuali.
Al primo punto si censura sia l’aver indotto il consumatore a credere di avere i beni disponibili nel magazzino e di procedere direttamente alla spedizione, senza spiegare di essere ricorsi al dropshipping, sia l’aver dato atto di avvalersi del dropshipping ma poi aver definito i prodotti disponibili quando non lo erano (non erano ancora nella disponibilità del venditore, o non erano in magazzino) e l’aver indicato tempi di spedizione non corrispondenti al vero. Nel secondo caso ricadono invece varie condotte volte a dilatare i tempi di rimborso delle somme pagate dal consumatore all’atto dell’acquisto per le ipotesi di ritardo nella consegna (o di omessa consegna), o a negare i rimborsi dovuti. È ovvio che tali condotte sono sanzionabili indipendentemente dal fatto di essere ricorsi al dropshipping, ma è anche vero che perdendo il controllo della gestione del magazzino o delle spedizioni, il venditore potrebbe essere tentato di “guadagnare tempo”, in modo da indurre il consumatore ad attendere una consegna tardiva o a modificare la scelta operata in favore di un diverso prodotto. Sotto questo profilo è bene che i professionisti siano attenti già in fase di stesura delle condizioni di vendita all’essenzialità del termine di consegna, e, in ogni caso, che rispettino il diritto di recesso che spetta al consumatore – che è un diritto di ripensamento che prescinde dall’esattezza dell’adempimento del venditore e non è derogabile. Ed è bene che, in presenza di cattiva gestione del magazzino o di ritardi nella consegna, i venditori operino nel rispetto dei limiti che gli pone la normativa, e non si arroghino diritti inesistenti: meglio prevedere tali patologie in fase di contrattazione con il fornitore in modo da ripartire spese e responsabilità nel rapporto sottostante, piuttosto che tentare di scaricare le conseguenze degli inadempimenti del professionista sul consumatore.
Gli aspetti più interessanti rilevati dall’AGCM, però, riguardano la prima ipotesi, ossia le informazioni relative alla disponibilità dei prodotti e ai tempi di consegna rese al consumatore al momento dell’acquisto.
Il Garante osserva come nell’e-commerce la spersonalizzazione del rapporto d’acquisto indebolisca di fatto il consumatore acquirente e lo ponga in una posizione di inevitabile asimmetria informativa rispetto al professionista. Occorre pertanto offrire all’utente, in modo chiaro e comprensibile, nella fase prodromica alla scelta d’acquisto, “un quadro informativo quanto più possibile preciso ed esauriente rispetto alle caratteristiche essenziali dei prodotti venduti e alle modalità di esecuzione del relativo regolamento contrattuale, al fine di consentire al consumatore la verifica della convenienza della transazione e della conformità dei beni/servizi forniti alle dichiarazioni del professionista. Peraltro, considerate le caratteristiche e l’articolazione del mezzo Internet, un maggior dettaglio nell’offrire informazioni complete ed esaurienti, in modo chiaro e comprensibile, sin dal primo contatto con il consumatore, rispetto ad una transazione commerciale, non comporta alcun maggior aggravio per il professionista.” Nel settore dell’e-commerce, prosegue l’Autorità, gli obblighi informativi in capo al professionista permangono, sebbene con valenza diversa, anche a seguito dell’inoltro di un ordine: nella fase di esecuzione del rapporto di consumo rilevano infatti, non solo la rapida esecuzione di una transazione ma anche la divulgazione di informazioni corrette sullo stato effettivo e sugli sviluppi concreti di un ordine di acquisto. “E ciò anche perché, attesa l’elevata concorrenza nell’e-commerce, se prontamente e adeguatamente informato sull’eventuale impossibilità di evadere l’ordine alle condizioni prospettate, il consumatore può sostituire agevolmente il professionista inadempiente con un suo diretto competitor”.
Nei casi finiti sotto la lente del Garante, nella fase prodromica alla scelta d’acquisto, la comunicazione sull’immediata disponibilità dei prodotti offerti sui siti si è rivelata falsa e ingannevole. Ciò in quanto, come sopra riferito, venivano indicati come disponibili prodotti che non erano in magazzino o che non erano ancora entrati nella sfera di disponibilità del venditore e la convinzione di tale immediata disponibilità veniva confortata dalle informazioni, inveritiere, relative ai tempi di consegna. Dal che si evince che nel caso si voglia ricorrere al dropshipping sarà bene curare attentamente le condizioni di vendita e i form presenti sul sito, in modo da evitare di dare informazioni false e ingannevoli ai potenziali acquirenti, e non finire con l’incorrere in pratiche commerciali scorrette, passibili di sanzioni piuttosto consistenti.
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