Il GDPR per le piccole (e piccolissime) imprese
La pronuncia in commento trae origine dalla storia di una signora che veniva fotografata in vacanza insieme ad un noto cantante, e le cui immagini, pubblicate da un giornale scandalistico, venivano quindi rapidamente diffuse.
La signora, non famosa, invocava il proprio diritto di riservatezza, pretendendo un ristoro per la lesione che assumeva aver subito alla privacy e all’immagine. Dopo un decennio circa trascorso nelle aule di tribunale la vicenda è approdata in cassazione. Ma la Cassazione Civile (sentenza n. 9867 /2014) ha rigettato il ricorso. Le foto, infatti, sono state ritenute veicolanti una notizia di interesse pubblico, ancorchè parametrato “sul tipo di pubblicazione scandalistica”; ciò perchè esse erano:
-inerenti alle vicende di un noto cantante italiano, ed in un momento in cui il pubblico iniziava ad interessarsi alla sua separazione dalla moglie, a sua volta personaggio molto noto presso il medesimo pubblico;
-sostanzialmente veridiche, atteso che nel caso di specie la “verità” della notizia coincideva con la stessa rappresentazione fotografica;
– associate a modalità continenti di espressione, atteso che le didascalie ed i commenti non potevano reputarsi offensivi o esagerati, in quanto rispecchianti in toto l’eloquenza dei fotogrammi pubblicati.
Pertanto, anche in considerazione del fatto che la signora non aveva lamentato che le pose fossero artefatte, e quindi che fossero inveritiere, ma solo che erano state estrapolate dal contesto, la Cassazione ha confermato la sentenza e rigettato il ricorso.
I parametri posti a tutela del diritto di cronaca, infatti, misurano anche l’ambito di recessività della privacy, che per le attività giornalistiche si situa agli articoli 136 e ss. Dlgs 196/03 e nel codice deontologico che a quest’ultimo è allegato sub A.
La sentenza merita di essere segnalata per l’interesse pubblico che riconosce nella narrazione fotografica di un fatto normalmente insignificante nella vita di un personaggio pubblico e che, afferendo a un soggetto non noto, per la pubblicazione avrebbe necessitato del suo consenso. La pronuncia, pertanto, finisce con il nobilitare il sensazionismo facendolo assurgere al rango della cronaca: operazione sino ad ora consentita quando la vicenda, normalmente “insignificante” se attribuita al quivis de populo, si collocava in posizione tangente rispetto al ruolo pubblico rivestito, diventando in tal modo di interesse per la collettività – si pensi al politico strenuo difensore della famiglia “beccato” a tradire il coniuge, o a quello proibizionista invece dedito al consumo di droga.
Condizione che pare difficile individuare nel caso di specie, e ció rende la pronuncia criticabile, poichè, elevando la curiosità della gente circa le effusioni di un soggetto non noto, al rango di pubblico interesse, in ragione del loro scambio con personaggio in crisi matrimoniale ma famoso (e famoso principalmente per la sua arte, non per il presenzialismo televisivo), finisce con il subordinare la privacy al gossip, più che al diritto di cronaca tradizionalmente inteso.
Pare che la Corte abbia sofferto la sovrapponibilità degli indici di legittimazione senza riuscire a differenziarli in ragione delle fattispecie cui si riferivano e traendone la medesima conclusione: se la notizia non è diffamante, non lede la privacy; ma riservatezza e reputazione non sono così perfettamente sovrapponibili e la delimitazione dei rispettivi campi avrebbe probabilmente richiesto una maggiore attenzione.
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