Si possono prevalere le foto pubblicate su Facebook per utilizzarle sul web senza il consenso dell’autore? Sebbene la prassi ci abbia abituato ad una gestione “leggera” dei diritti connessi all’uso delle fotografie postate sui social, colpa anche degli abusi commessi non infrequentemente persino da testate giornalistiche, la normativa che regola la trasmissione dei diritti connessi alla riproduzione delle opere fotografiche e delle fotografie non è mutata, e costituisce ancora un valido parametro per stabilire la liceità o meno della riproduzione operata.
Immagini fotografiche e diritto d’autore
In particolare la tutela è apportata dalla legge 22 aprile 1941 n. 633 (nel prosieguo indicata anche come L.D.A.). La legge distingue le foto in tre categorie, differenziando il livello di protezione accordato:
- opere fotografiche;
- fotografie;
- riproduzioni;
Il grado di protezione più alto è riservato all’opera fotografica. Si tratta di opera a carattere creativo, all’autore in questo caso è riconosciuto sia il diritto morale (che non si può cedere) sia i diritti patrimoniali (dei quali, invece, si può disporre); il diritto morale si sostanzia nel diritto alla paternità dell’opera, alla sua integrità e nel diritto di pentimento, che consente di ritirare l’opera dal commercio.
Nel mezzo si collocano le fotografie ossia le “immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale e sociale, ottenute col processo fotografico o con processo analogo, comprese le riproduzioni di opere dell’arte figurativa e i fotogrammi delle pellicole cinematografiche”. Il fotografo, in tali casi, gode dei c.d. “diritti connessi”, si tratta di forme di tutela più debole rispetto al diritto d’ autore: gli spetta il diritto esclusivo di riproduzione, diffusione e spaccio della fotografia (salve le disposizioni speciali dettate per i ritratti) senza pregiudizio, riguardo alle fotografie di opere dell’arte figurativa, dei diritti d’autore sull’opera riprodotta. Se la fotografia è stata realizzata nell’ambito di un rapporto di lavoro o su commissione, i diritti ora detti appartengono al datore di lavoro o al committente. Non solo: perché la tutela sia riconosciuta occorre che le fotografie rechino delle precise indicazioni (cfr art 90 L.D.A.):
- il nome di chi detiene i diritti di utilizzazione economica (fotografo, datore di lavoro o committente);
- l’indicazione dell’anno di produzione della fotografia, e (quando la foto riproduca un’opera d’arte)
- il nome dell’autore dell’opera d’arte fotografata.
Se queste indicazioni mancano la riproduzione delle fotografie non è considerata abusiva a meno che il fotografo non provi la malafede del riproduttore.
Il diverso regime di tutela dispiega diversi effetti anche nel tempo: la tutela piena accordata allo sfruttamento economico dal diritto d’autore si estende per 70 anni dalla morte, la durata della tutela relativa ai diritti connessi, invece, è di 20 anni dalla data di produzione.
Al livello più basso, infine, vi sono le mere riproduzioni, ovvero fotografie di scritti, documenti, carte di affari, oggetti materiali, disegni tecnici e prodotti simili, che, invece, non godono di particolare tutela; perciò sono liberamente riproducibili (ciò non significa che non possa godere di tutela autonoma l’oggetto o il documento riprodotto).
Tale brevissimo excursus non esaurisce certamente la materia, serve solo a dare un inquadramento quanto più generale; si aggiunge, tuttavia, per evitare pericolose lacune, che, quando siano effigiate delle persone, occorrerà prestare attenzione anche alle regole più specifiche che tutelano il ritratto, all’art 10 del codice civile che inibisce l’abuso dell’immagine altrui, nonché, infine, alla normativa in materia di protezione dei dati personali.
Che cosa accade, quindi, se si postano su un social network delle mere fotografie che non riportino le indicazioni sopra elencate? Sarà possibile dare prova della malafede del riproduttore o, al contrario, l’adesione alle condizioni di utilizzo del servizio impone un’abdicazione del fotografo ai “diritti connessi” che gli accorderebbe la legge?
A eliminare i dubbi circa l’applicazione della tutela offerta dalla legge 633/41 anche alle fotografie pubblicate su Facebook è intervenuto di recente il Tribunale di Roma – Sezione Specializzata in materia d’impresa, con sentenza 12076/2015.
Il caso
Un minore scattava e pubblicava sul proprio profilo Facebook alcune fotografie all’interno di una discoteca, allo scopo di rappresentare uno spaccato della vita notturna nei locali della sua città.
Le foto venivano prelevate a sua insaputa e inserite a corredo di un articolo sulle baby cubiste, pubblicato su una testata giornalistica nazionale. Da lì venivano ripubblicate e diffuse anche da emittenti televisive.
La pubblicazione da parte della testata avveniva senza che il fotografo venisse citato come autore delle immagini fotografiche, senza la citazione della fonte dalla quale erano state tratte e senza che gli venisse riconosciuto alcun compenso. I genitori del minore esercenti la patria potestà, pertanto, convenivano in giudizio la testata, che a sua volta chiamava in causa l’autore dell’articolo.
In via principale, parte attrice, contro l’illecita riproduzione operata dal giornale, domandava che alle immagini venisse riconosciuta la qualità di opera fotografica, in modo da avvantaggiarsi della maggiore tutela riconosciuta dalla legge sul diritto d’autore alle opere creative.
Solo in via subordinata domandava il ristoro dei danni patiti in ragione della pubblicazione abusiva delle fotografie, ove il Tribunale avesse ritenuto che le immagini non assurgessero al rango di opere fotografiche.
Il Tribunale si è soffermato a lungo sui criteri che consentono di distinguere opere fotografiche, fotografie e mere riproduzioni, giungendo a definire le immagini per cui era causa mere fotografie tutelate a sensi degli art. 87 e ss. L.D.A.
Allo scopo di indagare quindi la sussistenza e la portata della tutela accordata al fotografo, il Tribunale si trovava a dover valutare le risultanze probatorie sia in ordine alla presenza delle indicazioni richieste dalla legge sulla fotografia riprodotta, sia in ordine alla malafede del riproduttore abusivo.
Le argomentazioni difensive dei convenuti, volte a negare la sussistenza di qualche diritto in capo al fotografo, ruotavano intorno a due assi principali: da una parte la mancanza di qualsivoglia indicazione sulle fotografie (che, come visto sopra, ne consente la libera riproducilità, a meno che non si provi la malafede), dall’altra la loro pubblicazione su Facebook, che le avrebbe rese liberamente fruibili e ripubblicabili da chiunque, o quanto meno, avrebbe legittimato all’azione giudiziaria solo Facebook, divenuto Titolare dei diritti per effetto della licenza concessa dal fotografo all’atto dell’adesione alle condizioni di utilizzo della piattaforma.
Facebook e diritti fotografici: le condizioni di utilizzo del social network
Il Collegio Giudicante ha esaminato con attenzione le condizioni alle quali gli iscritti al social network possano pubblicare i loro contenuti (filmati, scritti e fotografie) allo scopo di individuare se, in effetti, vi fosse stata una cessione del diritto che escludesse la legittimazione ad agire in capo al fotografo o ponesse la possibilità per chiunque di utilizzare il contenuto reso accessibile dalla piattaforma.
In particolare il Collegio Giudicante ha distinto le impostazioni privacy (che regolano l’ampiezza della sfera dei destinatari della pubblicazione) dalla licenza per i contenuti relativi alla proprietà intellettuale (IP), che, invece, si articola in un fascio di diritti compiutamente elencati (tra i quali è compreso anche il diritto di riproduzione), licenza che viene concessa dall’autore -che resta comunque proprietario dei propri contenuti- sia al social network, sia, per suo tramite, agli altri iscritti. Questa peculiare licenza ha lo scopo di rendere i contenuti fruibili e di consentirne la condivisione tra utenti, secondo le regole dettate dal social network stesso, e sempre nell’ambito della piattaforma. Attraverso la licenza IP non viene concessa agli utenti o al social la possibilità di travalicare i confini ideali tracciati dalla piattaforma stessa veicolando i contenuti altrui all’esterno. Agli utenti, invece, è data la possibilità di definire la fascia di pubblico al quale dirigere la i contenuti, distinguendo tra amici o categorie di amici o gruppi o, addirittura, impostare il contenuto su “pubblica”. In tal caso il contenuto sarà visibile a chiunque, e accessibile anche ai non iscritti. Tuttavia ciò non sta a significare che il diritto venga trasferito o l’ambito della licenza IP ampliato: infatti, sebbene il tenore letterale della relativa clausola sia “quando l’utente pubblica contenuti o informazioni usando l’impostazione “Pubbllica”, concede a tutti, anche alle persone che non sono iscritte a Facebook , di accedere e usare tali informazioni e di associarle al suo profilo (ovvero al suo nome e alla sua immagine di profilo)”, un’interpretazione della clausola corretta e teologicamente orientata deve condurre alla conclusione che “la prevista libertà di utilizzo dei contenuti pubblicati dagli utenti con l’impostazione “Pubblica” riguarda esclusivamente le informazioni e non i contenuti coperti da diritti di proprietà intellettuale degli utenti, rispetto ai quali l’unica licenza è quella non esclusiva e trasferibile concessa a Facebook. (…).
Tale impostazione, infatti, permette a chiunque di accedere al contenuto IP ed eventualmente di condividerlo sullo stesso social network o su altri social network che abbiano ottenuto tale autorizzazione di condivisione attraverso una sublicenza concessa da Facebook, ma non consente di riprodurre e diffondere tale contenuto IP in mancanza del preventivo consenso del fotografo”.
La mancanza delle indicazioni richieste dall’art. 90 L.D.A. e l’interpretazione evolutiva
Sgombrato il campo dai dubbi su Facebook e diritti fotografici, in particolare circa l’esatta portata della licenza IP che si ricava dalle condizioni di utilizzo del social network, i Giudici sono passati ad esaminare un altro aspetto in grado di condizionare la possibilità di pubblicare una fotografia altrui liberamente: l’assenza delle indicazioni di cui all’art. 90 L.D.A; nel caso in cui le predette indicazioni non siano apposte, infatti, la riproduzione è ammessa, a meno che non si provi la malafede del riproduttore.
I Giudici, argomentando in ordine alla ratio delle norme poste a tutela del diritto del fotografo, hanno ritenuto che l’evoluzione tecnica che ha portato alla diffusione della fotografia digitale debba spingere a considerare idonei allo scopo anche i c.d. “digital watermarks” filigrane digitali o impronte elettroniche che consentono di rendere ineliminabile l’apposizione delle indicazioni di cui all’art. 90 L.D.A. ai documenti fotografici trasferiti. Si tratta di una interpretazione che appare in linea con la facoltà riconosciuta ai titolari del diritto d’autore, o dei diritti connessi, di avvalersi di misure tecnologiche di protezione per tutelare le opere, o inserire nelle stesse informazioni elettroniche sul regime dei diritti.
La malafede
L’interpretazione evolutiva non si ferma alle modalità attraverso le quali apporre le indicazioni di cui all’art. 90 L.D.A., che non risultavano comunque apposte nel caso di specie.
Il Collegio, dopo aver osservato che la ratio della norma è consentire la libera riproduzione delle fotografie a chi, usando l’ordinaria diligenza, non sia in grado di risalire al titolare dei diritti connessi, ha ritenuto di dover calare tale tutela nelle modalità di circolazione delle fotografie digitali in modo da evitare interpretazioni eccessivamente formalistiche che non tenessero conto dell’attuale contesto tecnologico.
A tal fine si delinea una prima distinzione tra lo scambio di foto digitali e il download di foto da pagine web.
Nel primo caso, lo scambio può avvenire tra soggetti che ignorano le reciproche identità e, in mancanza delle indicazioni richieste dall’articolo 90 L.D.A. (apposte anche attraverso l’inserimento di watermark), la riproduzione non potrà considerarsi abusiva.
Diverso è, invece, il caso in cui il file sia stato scaricato da una pagina web. Qui occorre un’ulteriore distinzione:
- la pagina web non è riconducibile all’autore delle fotografie, non è indicato in maniera chiara e immediatamente visibile il nome del fotografo e l’anno di pubblicazione, non sono apposte in altra maniera le indicazioni richieste dall’art. 90 L.D.A.: la riproduzione sarà libera.
- La fotografia, pur mancando le note indicazioni, è pubblicata su una pagina riconducibile al titolare dei diritti, oppure sono chiaramente indicati accanto alla foto il fotografo e la data dello scatto. Tali indicazioni svolgono la stessa funzione di quelle previste dall’articolo 90 L.D.A. anche se non risultano apposte direttamente sulla foto. In questo caso la ripubblicazione dovrà essere considerata abusiva e sarà dovuto il compenso previsto. Infatti i terzi, facendo uso dell’ordinaria diligenza, possono reperire le necessarie informazioni per individuare il fotografo e corrispondergli il dovuto.
Tanto premesso i Giudici hanno specificato che sui social network, fermo il divieto di pubblicare materiali coperti da diritto altrui senza autorizzazione, non sempre il nome dell’utente che effettua la pubblicazione corrisponde a quello del titolare dei diritti.
In particolare su Facebook è possibile distinguere i contenuti IP pubblicati da un utente, da quelli semplicemente “condivisi” da quello stesso utente.
È agevole comprendere che l’utente non è titolare dei diritti di proprietà intellettuale sui contenuti che si limiti a condividere. Mentre nel caso in cui proceda direttamente alla pubblicazione il suo nome viene associato alla pubblicazione stessa, ma non alla titolarità sui diritti di proprietà intellettuale riferiti al contenuto che ha diffuso.
Se, pertanto, non ci sono indicazioni, come si possono riferire i contenuti al legittimo titolare, in questo caso al fotografo?
Ebbene, per i Giudici la pubblicazione della foto sul profilo personale, in assenza di evidenze in senso contrario (ad esempio la notorietà dell’immagine che appartiene ad altro fotografo) può far presumere che l’utente sia il fotografo.
Tale presunzione (grave, precisa e concordante, ai sensi dell’art 2729 c.c.) inverte l’onere della prova ponendolo a carico di chi ha ripubblicato.
Nel caso sottoposto al loro esame, i Giudici hanno osservato che nessuna prova era stata fornita in ordine a una diversa ricostruzione dei fatti, essendo pacifico che le fotografie provenivano dal profilo personale dell’attore.
Da ciò si ricavava la consapevolezza in capo al giornalista circa l’identità del fotografo e la sua malafede, corroborata dal fatto che le immagini venivano consegnate al giornale senza l’indicazione dell’identità del fotografo o della fonte.
Anche il giornale non era in buona fede, e i giudici hanno evidenziato come abbia tenuto una condotta gravemente colposa, dato che non richiedeva neppure la liberatoria per la pubblicazione, diversamente da quanto avrebbe dovuto fare un operatore professionale.
Il riconoscimento della paternità delle fotografie
Infine i Giudici hanno osservato che l’articolo 88 L.D.A. riconosce al fotografo solo i più limitati diritti, a contenuto patrimoniale, di riproduzione diffusione e spaccio delle fotografie. Nonostante ciò hanno dichiarato che debba ritenersi che al fotografo spetti anche il diritto di paternità sulle immagini fotografiche, che invece è un diritto morale. Secondo i Giudici “militano a favore di una tale interpretazione non solo il riconoscimento da parte dell’ordinamento di un generale diritto di ogni individuo alla paternità delle proprie azioni, ma anche i principi normativi che emergono dagli articoli 90, primo comma e 91, secondo comma L.A. i quali riconoscono all’autore della fotografia non creativa il diritto di essere menzionato come autore della medesima”.
La violazione di tale diritto non lede solo la sfera morale ma produce anche un danno patrimoniale, identificato da un lato, nella minore risonanza pubblicitaria, e, dall’altro, nel fatto che l’omessa menzione abilita alla libera riproduzione ove non si provi la malafede del riproduttore.
I Giudici sulla scorta di tali argomentazioni hanno concluso che, poiché nel caso sottoposto al loro esame, il nome del fotografo non era indicato, il quantum del danno risarcibile doveva essere commisurato tenendo conto sia del danno patrimoniale subito dal fotografo, sia del danno morale
connesso alla paternità delle fotografie, non essendo stato pubblicato il suo nome.
Conclusioni
La sentenza resa dal Tribunale romano ha il pregio di chiarire l’equivoco su Facebook e diritti fotografici, in particolare in ordine alla perdita dei diritti sui materiali pubblicati sul social Network, e di precisare i limiti della licenza concessa al social network e ai suoi utenti, anche quando si sceglie l’impostazione “pubblica” per condividere i contenuti. La sentenza, inoltre, chiarisce, nel caso si cadesse nell’equivoco opposto, che la pubblicazione sul social network, di per sé, non attribuisce alcun diritto, dato che è ben possibile pubblicare contenuti dei quali non si è titolari, vuoi perché si tratta di opere di pubblico dominio o vuoi perché si sta violando un diritto altrui. In altre parole, la possibilità di “utilizzare” il contenuto condiviso attraverso la piattaforma non è sufficiente ad attribuire diritti sulle opere condivise e, per contro, se si pubblicano sul social network opere fotografiche, disponendo dei relativi diritti d’autore, ciò non inciderà sulla tutela dei diritti morali e patrimoniali per ogni uso che cada fuori della piattaforma, in quanto la possibilità di utilizzare il contenuto da parte di altri utenti e la correlata compressione del diritto d’autore che da ciò deriva, operano solo entro i confini della licenza concessa al social network. Lo stesso avviene per i diritti connessi relativi alle mere fotografie.
I Giudici, inoltre, mostrano di seguire l’indirizzo giurisprudenziale che ammette il riconoscimento del diritto morale di paternità in capo al fotografo. Si tratta di una impostazione che segue la linea tracciata dalla dottrina dominante, ma che, in passato, non è stata condivisa uniformemente anche dalla giurisprudenza.
Meritoria è, infine, l’interpretazione evolutiva seguita in ordine all’articolo 90, volta a riequilibrare il bilanciamento tra libera circolazione e le riserve correlate alla titolarità dei diritti connessi, in modo da adeguare l’applicazione delle norme al mutato quadro tecnologico, salvaguardandone la ratio.
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